Da curiosa ed appassionata websurfer
appena visto l'avviso, ho recuperato il Piano Urbano della Mobilità
Sostenibile (PUMS) preparato sotto la guida del giovane Assessore
Maran.
La curiosità era tanta viste le
energie messe in campo in questi pochi anni di gestione dalla nuova amministrazione.
Il documento è un bel manuale
completo, ricco di spiegazioni e numeri. I commenti potrebbero essere
molti e differenziati, ma ho avuto la fortuna di assistere alla
presentazione di venerdì 20 Marzo in Consiglio di Zona 8 e,
confesso, mi sono risparmiata una zelante e completa lettura delle
362 pagine del documento di progetto, concentrandomi sulle parti che
più mi interessavano.
Il Piano prospetta la strategia VISION
ZERO, dall'esempio del sindaco di New York, che unisce le attività di
controllo e di sicurezza a quella del disegno progettuale del livello
zero (ovvero il piano campagna dove si articolano i flussi in
movimento).
Il Piano promuove in linea strategica
la mobilità sostenibile prevedendo un rafforzamento delle linee di
trasporto pubblico, di postazione di bikesharing, di introduzione di
nuove zone a traffico calmierato e di implementazione dei raggi
verdi. Loda le iniziative diffuse sul territorio che promuovono la
mobilità scolastica con modi sostenibili (bicicletta e piedi ).
La realtà di oggi monitorata dai dati
di Piano non è tuttavia entusiasmante: solo 3% delle famiglie ha
partecipato all'indagine Pedibus ed i progetti car free (chiusura
temporanea del tratto stradale antistante la scuola negli orari di
ingresso/uscita principali) riguardano solo l'1.4% delle scuole.
Consapevole di questo risultato
parziale, il Piano indica una strategia di intervento istituendo una
struttura operativa finalizzata alla redazione di proposte di
intervento riferite alle singole scuole. Ad ora sono individuati due
organi di lavoro: il Gruppo di coordinamento interassessorile
deputato al coordinamento, alle attività di advocacy presso le
scuole e con ruolo di controllo e validazione delle attività svolte
dai 9 gruppi di lavoro operativo (uno per zona di decentramento).
Dopo aver vissuto tante analoghe
esperienze (in realtà dimensionalmente minori) nel condurre
presentazioni pubbliche di piani elaborati, è stato istruttivo
trovarmi da cittadina – con sufficiente competenza – ad ascoltare
quanto veniva raccontato in generale e con focus su zona 8.
La prima sensazione, persistente per
tutta la durata della presentazione, è stata la grande distanza fra
gli interlocutori ed il pubblico. La platea ascoltava interessata ed
educata, ma il divario tra domande e risposte era incolmabile. Questo
è comprensibile: parliamo di un Piano della Mobilità per una città
da quasi 1.4 milioni di abitanti, che già oggi (prima della
trasformazione in città metropolitana) somma più di 5 milioni di
spostamenti nel giorno medio feriale. Se giustamente un Piano di
Mobilità getta le basi strategiche per la dotazione infrastrutturale
e gli obiettivi, molto ancora manca per finalizzare i traguardi nelle
unità di quartiere.
L'accusa di mancanza di partecipazione
con il territorio, avanzata da alcune istanze, non rappresenta
necessariamente una polemica politica ma l'evidenza – a mio avviso
- di una criticità nel metodo di lavoro. Se da un lato non è
credibile che un PUMS entri nel dettaglio di aspetti locali proprio
perchè di area vasta e con indirizzi strategici (e quindi è
sbagliata in sè la modalità di incontri di presentazione del
piano), bisogna prendere atto che la delega di connessione con il
territorio, demandata ai consigli di zona, non sta funzionando,
nonostante il grande impegno profuso da alcuni consiglieri.
La zona 8 (che meglio conosco)
raccoglie in un unico confine realtà diverse ed ugualmente
importanti: il Gallaratese, Quarto Oggiaro e una porzione di zona
semicentrale: tutte con istanze, dinamiche, interlocutori e
condizioni di riferimento spesso divergenti. L'istituire un gruppo di
lavoro per piani di mobilità scolastica, incernierati sempre sul
nodo dei consigli di zona puo' rivelarsi solamente una perpetuazione
degli errori già commessi.
La scuola che frequentano i miei figli
non ha partecipato alle iniziative pedibus e siamonatipercamminare,
eppure ha ottenuto una zona carfree temporanea (con tutte le
polemiche del caso) e mediamente più del 50% dei bambini non viene
accompagnato in auto.
Il pedibus nasce spontaneamente, come
un lento corteo che si ingrossa avvicinandosi a scuola. Chi con la
bicicletta, a piedi, con skate o monopattini, ritrova amici e
compagni sul proprio percorso.
In questi mesi invernali, la linea
autobus sostitutiva del tram lungo via Mac Mahon, si trasformava in
uno scuolabus, con appuntamenti, corse, attese e gare con chi
procedeva a piedi.
Le mamme con un impegno urgente ed
imprevisto affidano i bambini agli amici di turno che passano in quel
momento davanti al portone e si accordano per la merenda al parco
dopo l'uscita scolastica.
Al passaggio si monitora la condizione
dei marciapiedi e degli attraversamenti, spesso devastante nonostante
i continui interventi. Volti sconosciuti vengono individuati e
controllati a distanza dai genitori. I bambini si dettano le regole
– che ben conoscono - fra loro.
Davanti a scuola i gruppi delle classi
si riuniscono per entrare insieme, chi ha ancora i genitori presenti
dà un fugace ed imbarazzato bacio sulla guancia e corre in classe;
chi è stato lasciato in affido riceve una carezza ed un augurio di
buona giornata dal genitore affidatario occasionale.
All'uscita, quando piove, chi ha un
auto provvede ad un spontaneo carpooling. In caso di bel tempo e di
mancanza di impegni pregressi, si inizia a smangiucchiare una merenda
e ci si accorda per il trasferimento ai giardini di zona. Qualche
mamma approfitta per lasciare il figlio e correre a fare la spesa o
preparare una lavatrice.
Dubito che tutto questo possa essere
esaminato da un Piano della Mobilità Scolastica, perchè è vita
vera, di quartiere, di affetti , di condivisione e di rispetto per le
persone e le cose.
Ed uno schema partecipativo premodulato
non potrà mai cogliere la bellezza e l'entusiasmo di quei “percorsi
casa-scuola” che diventano un esperienza di gioco, di incontri. A
volte di studio, con la ripetizione della lezione prima della
verifica. O nel saluto ai commercianti di via al passaggio quotidiano
dei bambini. O del portiere del palazzo, che rincorre per gioco i bimbi
con la canna dell'acqua mentre pulisce il marciapiede. O ancora il
canto sull'autobus de “La leggenda del Piave” che fa commuovere
le nonne sedute, che la guerra l'hanno vista con i loro occhi di bambine.
Queste sensazioni positive colmano il
cuore di chi ha la fortuna di vivere questi momenti di incontro e
rendono sopportabile (o meglio dire meno urgente) la mai soddisfatta
richiesta di percorsi ciclabili (anche condivisi, ma frequentabili in
sicurezza), di attraversamenti pedonali protetti, di rastrelliere per
il parcheggio, di zone verdi lungo strada, di un trasporto pubblico
efficiente, di muri puliti, di attività di quartiere, di marciapiedi
senza buche (che rompono gli zaini trolley).
Pianificare tutto questo significherebbe umanizzare un modello statistico. Mi chiedo quindi: è possibile? Magari si, ma la strada più semplice potrebbe essere quella del buon senso (e suggerita in molti manuali): creare quartieri che offrano le opportunità per una vita sostenibile e di condivisione, nella mobilità come nei consumi e nelle relazioni. E utilizzare gli automi cellulari per modellizzare oggetti anzichè i nostri bambini.